BUOI, CAVALLI, ASINI, MULI E MAIALI NELLA STORIA DEL PAESAGGIO AGRARIO DEL TARANTINO

PAROLE CHIAVE: immagini, rural landscape history, Magna Grecia, Messapi, Medioevo, Neolitico, feudalesimo, demani, paludi, paesaggio agrario, storia, Taranto, Puglia, Italia Meridionale, gravine, masserie, edilizia rurale, allevamento, cavalli, equini, buoi, maiali, suini, asini, muli

I bovini

Sino all'avvento della rivoluzione industriale l'allevamento dei bovini era finalizzato prevalentemente alla produzione di forza lavoro; il loro impiego come alimento apportatore di proteine costituiva un elemento marginale, limitato a ristretti ambiti sociali; il più delle volte la macellazione costituiva il momento conclusivo della vita dei capi di bestiame non più in grado (per vecchiaia o malattie) di svolgere la funzione ergonomica.

Non trascurabile l'utilizzo delle pelli per le varie attività conciarie (per la fabbricazione di scarpe, borse, capi di abbigliamento).

Forme di semiaddomesticamento dell'Uro, il progenitore selvatico dei bovini domestici, hanno probabilmente avuto luogo ancor prima dello sviluppo delle attività agricole; il completamento del processo, con la creazione delle razze bovine da lavoro hanno in seguito fornito un contributo essenziale alla Rivoluzione (o transizione che dir si voglia) Neolitica. Anche nella Taranto greca i buoi rivestivano un ruolo di rilievo, essendo ampiamente utilizzati all'interno delle aziende agricole sparse nella chora coloniale. I bovini rivestivano tuttavia anche un peculiare ruolo rituale, essendo oggetto di una specifica festa sacrificale in onore della dea Era.

Le prime notizie documentarie riguardanti l'allevamento dei bovini nel Tarantino rimontano solo a partire dal Medioevo, età in cui i buoi si impongono come i principali (e perciò preziosi) animali addetti alle lavorazioni dei terreni su larga scala nonché al tiro pesante. Dato il loro elevato costo il loro possesso rimaneva per lo più appannaggio di poche ristrette categorie sociali (i feudatari in particolare), il che contribuì a rafforzare la dipendenza delle popolazioni contadine, incapaci di assicurarsi una indipendente fonte di forza-lavoro.

In base alla quantità di terra che poteva essere arata da una coppia di buoi (il parecchio) essi erano utilizzati anche come unità di misura di superficie.

Un'antica consuetudine consentiva inoltre di commisurare con il loro numero all'interno di una singola azienda la quantità di terreno demaniale che poteva essere tenuto perennemente chiuso (la difesa).

Mangiatoie all'aperto per bovini, da Masseria Grottafornara (Taranto). (In basso) Scenografico recinto (curte) per buoi nello jazzo di Masseria Capocanale (Statte)

Mangiatoie per bovini a Masseria Grottafornara Recinto per buoi a Masseria Capocanale

Più dettagliate sono le notizie a partire dall'Età Moderna, durante la quale i bovini venivano allevati in aziende specializzate, note come masserie di vacche. Con tale termine non si indicava necessariamente (come in genere viene concepita l'idea di masseria) il complesso di bestiame, attrezzature ed edifici, ma anche, semplicemente, la sola intera mandria. Lo sviluppo di tale attività corre in parallelo con la privatizzazione delle terre pubbliche, attuata mediante l'erezione di difese da parte delle élite emergenti, dai feudatari in primo luogo. Date le elevate esigenze nutrizionali e le caratteristiche ecologiche del territorio, questa tipologia aziendale prevedeva lo spostamento stagionale (dall'inizio di maggio sino alla fine di settembre) del bestiame verso i pascoli perenni della parte occidentale della provincia, in gran parte soggetta ad impaludamento, o verso la Montagna (cioè l'Abruzzo, l'Alta Murgia o la Basilicata), seguendo i percorsi della transumanza.

Ampiamente praticata sino all'inizio del '700, la masseria di vacche perse interesse nelle strategie gestionali dei signori tarantini, per cui la maggior parte delle loro aziende furono dismesse per fare spazio alla olivicoltura, che andava diffondendosi sostituendosi alle aree in precedenza occupate dalla macchia mediterranea. In tal modo l'allevamento specializzato dei bovini rimase localizzato al Tarantino occidentale e, soprattutto, sulla Murgia, divenendo appannaggio dei signori di Martina, di Laterza e di Castellaneta.

All'interno della tradizionale masseria cerealicolo-pastorale la presenza di bovini raramente aveva funzione riproduttiva, essendo per lo più limitata ai capi addetti alle lavorazioni.

Una svolta epocale ha avuto luogo, a partire dalla fine dell'800, a seguito della progressiva meccanizzazione dell'agricoltura, con il conseguente ridimensionamento dell'impiego dei buoi nei lavori agricoli. Nella seconda metà del '900 sono inoltre stati introdotti nuovi ed innovativi sistemi di stabulazione d'ispirazione industriale, unitamente a razze bovine a maggiore produttività di carne e di latte, che hanno in breve soppiantato la razza bovina autoctona, la podolica. Tale impostazione aziendale ha inserito sì il mondo zootecnico locale nei circuiti globali, ma esposto altresì a tensioni competitive che lo ha visto in perenne sofferenza.

L'allevamento su scala industriale non è mai del resto riuscito a soppiantare completamente i sistemi di conduzione tradizionali, che restavano (e restano) prevalenti nelle aree murgiane. Non è quindi un caso che, sulla scia della rivalutazione delle produzioni tipiche regionali e locali, proprio qui si stia sperimentando, negli ultimi anni, la reintroduzione della razza podolica, con le sue pregiate produzioni di latticini e carne.

Bovini di razza podolica Bufaloria del Duca di Martina

Due immagini di altri tempi: a sinistra bovini podolici, tornati dopo lunga assenza nei pascoli della Murgia; a destra la Bufaloria del Duca di Martina

Ricordiamo, infine, l'allevamento dei bufali nel Tarantino, ampiamente praticato fino al '700 inoltrato, soprattutto nel Tarantino occidentale, nel territorio di Palagiano in particolare, grazie all'abbondanza di aree paludose. In questo, come in altri casi si trattava di attività appannaggio dei feudatari di Martina, di Massafra e di Castellaneta. Più sparute invece le presenze nei territori intorno alla città.

I cavalli

Il frequente rinvenimento di ossa di equini all'interno dei villaggi pre- e protostorici del Tarantino lascia intendere che essi avessero un qualche, seppur non ancora compiutamente chiarito, ruolo all'interno di quelle economie e società. Le perplessità risentono soprattutto delle diverse interpretazioni che sono state date alla traumatica transizione dal Neolitico all'Età dei metalli (III millennio a.C.).

L'idea oggigiorno più accreditata prevede che nel corso del Neolitico gli equini (addomesticati o meno) costituivano soprattutto una fonte alimentare, mentre l'adozione del cavallo per la monta e come animale da tiro, associato all'utilizzo del carro a quattro ruote, sarebbe piuttosto da porre in relazione all'intrusione di popolazioni provenienti dall'Est europeo (forse dalle steppe della Russia meridionale secondo il modello dell'archeologa Gimbutas) nel corso dell'Età del Rame, responsabili della scomparsa delle società neolitiche.

Si trattava di popolazioni nomadi e gerarchicamente stratificate al loro interno; erano soprattutto allevatori e manifestavano spiccata aggressività. In tale interpretazione il parallelismo culturale fra cavalli e attitudine guerriera, che costituisce uno dei leit motiv della storia dell'Occidente (e non solo) avrebbe radici molto profonde nella identità europea.

Le prime interessanti notizie relative all'importanza economica e sociale dell'allevamento dei cavalli risalgono invece all'Antichità.

In Età Arcaica pare che la condizione di allevatore di cavalli in seno agli affermati nuclei gentilizi tarantini, proprio con l'esercizio della cavalleria militare occupasse, in una organizzazione sociale connotata in senso aristocratico, una posizione sociale apicale. Solo la crisi del V secolo con la successiva transizione democratica, avrebbe ridimensionato il ruolo egemonico della cavalleria, forse in analogia con la rivoluzione oplitica che la madrepatria greca aveva già da tempo avviato.

In età ellenistica i cavalieri tarantini avevano inoltre sviluppato un armamentario ed una tecnica nel cavalcare (tarantinizein) peculiari e molto celebrati, al punto da essere ricercati come mercenari.

Rinomati allevatori di cavalli erano i Messapi e cavalli, oltre che schiavi, costituivano il principale bottino delle periodiche razzie compiute dai Tarantini nei territori messapici. Lo stesso Annibale effettuò, nel corso della sua campagna contro Roma, una incursione in Messapia proprio allo scopo di approvvigionarsi di cavalli.

Masseria Scorcola Masseria Piccoli

La masseria della Scorcola (Crispiano, a sinistra) riporta un toponimo di origine longobarda che indicava la presenza di un insediamento fortificato di confine; essa sorge sul luogo una volta occupato dall'antico casale di Capitignano; dopo l'abbandono di questo (alla fine del Medioevo) il relativo territorio fu destinato all'allevamento, divenendo dapprima una cavallerizza. Successivamente venne smembrato per dare origine alle tre masserie di Scorcola, Ingegna e Aucchiaro. La masseria Piccoli (Crispiano, a destra) fu invece sede di una cavallarizza in Età Moderna, quando si trattava di attività liberalizzata, pressoché esclusiva dei signori martinesi.

Nel Medioevo il cavallo vide ulteriormente crescere la sua duplice importanza, sia economica che sociale. A lui, ed al suo impiego come macchina bellica, faceva infatti riferimento tutta la cultura cavalleresca e l'istituzione feudale, l'essenza quindi dell'ideologia nobiliare, perpetuatasi anche per gran parte dell'Età Moderna e conservata in titoli onorifici tutt'ora in voga.

Conseguenza di questo rilievo furono le forti limitazioni imposte dallo Stato, fortemente connotato in senso centralistico, in età sveva e primo-angioina all'allevamento del cavallo, attività che fu condotta in regime di quasi monopolio pubblico. Essa aveva luogo all'interno di aziende zootecniche specializzate (note come aratie o marescallie) sottoposte ad un rigido controllo burocratico. Due di queste strutture esistevano (e sono attestate sino ad età aragonese) anche nel Tarantino, una nei pressi di Laterza, ove erano allevati gli stalloni, l'altra nel territorio di Massafra, nel quale venivano allevate invece le fattrici.

Dopo la metà del '400 la gestione della risorsa equina fu allentata, la partecipazione privata divenendo sempre più significativa, in primo luogo da parte dei feudatari. Dalla fine di questo secolo fino alla metà del '700 si assiste ad un netto processo di specializzazione che portò alla scomparsa dell'allevamento equino dal Tarantino (salvo i capi utilizzati nelle singole masserie per i lavori agricoli), per localizzarsi invece, in aziende a ciò dedicate, le cosiddette cavallarizze, sulla Murgia, in specie nel territorio di Martina.

Questo profondo mutamento (strettamente connesso al già ricordato parallelo declino delle masserie di vacche) era dovuto al fatto che i cavalli mal sopportavano le invernate sulla costa, a causa del maggiore tenore di umidità, mentre lo stesso, visti i costi, non si poteva dire del bestiame bovino, il quale soffriva particolarmente la secca estiva. Così, mentre i bovini andavano in Montagna, i cavalli erano condotti nelle parti più interne della provincia: in poche parole, era la forza motrice principale che guidava, seppur con segno opposto, i movimenti di entrambi.

Nel corso degli ultimi decenni del '800 la meccanizzazione provocò un sostanziale e rapido declino del mercato equino, mentre nel secolo successivo il cavallo murgese ha visto crescere il proprio ruolo all'interno delle attività ricreative, connesse con lo sviluppo turistico ed ambientale. A tale riguardo, dopo la iniziale promozione di tale attività da parte della Provincia di Taranto, la Puglia si è dotata di una propria azienda agricola-forestale, con sede in Masseria Gorgofreddo e Masseria Galeone (nel territorio di Martina Franca) nel cui ambito, oltre alla ricostituzione del patrimonio forestale, si pratica l'allevamento del cavallo murgese, da sempre considerato robusto e frugale allo stesso tempo, particolarmente adatto ad essere montato in sella.

Asini e muli

L'asino era la tipica bestia da mano, adatta cioè al trasporto leggero, motivo per cui era un utilissimo coadiutore per il lavoro contadino, in specie nei quotidiani spostamenti fra campagna e abitazione urbana. Nella Taranto greca esso rivestiva, inoltre, un importante ed inconsueto ruolo rituale: nel corso di una importante cerimonia pubblica, denominata Festa dei Venti, veniva infatti sacrificato un asino, allevato appositamente in libertà.

L'apporto dell'asino come animale da lavoro era massimo per i giardinieri, cioè coloro che coltivavano orti e giardini: insieme solevano fare, infatti, la spola quotidiana fra la dimora ed il podere alle Paludi o ai Caggiuni, con l'andirivieni di letame in un verso e di frutti e verdure nell'altro.

Per tale contributo nella economia domestica quotidiana non fa specie quindi il frequente rinvenimento di mangiatoie ad esso destinate anche all'interno delle case-grotte degli insediamenti rupestri. L'asino era costantemente presente fra le capitanie della masseria, ove era impiegato per il trasporto delle olive dalle piantate verso il frantoio (trappeto) o per muovere macchine come ingegne o mulini.

Lo stallone asinino veniva inoltre allevato in maniera tale da accoppiarsi con le giumente e generare i muli, potenti macchine da lavoro adoperate in moltissimi congegni (mulini, trappeti e ingegne) oltre che per il trasporto di merci e di persone; in tali occupazioni essi si rivelavano sicuramente meno efficienti del cavallo, ma rispetto a questo erano più resistenti e meno esigenti dal punto di vista alimentare.

Il mulo nato dall'incrocio del cavallo murgese con l'asino martinese era particolarmente ricercato alla fiera di Gravina, il più importante centro di commercializzazione della produzione equina della Murgia, e le sue valutazioni di mercato erano spesso (e di molto, anche 3 e 4 volte) maggiori di quelle di un cavallo.

Le quotazioni del bestiame equino subirono un autentico crollo verso la metà del Novecento a causa della diffusione dei motori a scoppio ed elettrici, ma negli ultimi anni la tendenza pare essersi invertita, soprattutto per quel che riguarda il cavallo, che ha visto anche una più precisa definizione della razza murgese.

La Regione Puglia, per il tramite del Corpo Forestale, ha da anni intrapreso la strada della salvaguardia delle razze equine ed asinine autoctone, dando vita ad aziende specializzate nell'allevamento e nella riproduzione: Masseria Russoli (Crispiano) per gli asini, Masseria Gorgofreddo e Galeone (Martina Franca) per il cavallo.

I maiali

I maiali (detti neri in quanto la razza autoctona aveva la pelle di color scuro) hanno sempre costituito gli animali da carne per eccellenza, sia nella loro componente magra (peraltro facilmente conservabile mediante salagione ed essiccazione) sia in quella grassa, quest'ultima utilizzata come principale condimento nelle aree collinari e montuose mediterranee e del centro Europa, al posto del prezioso olio di oliva.

L'allevamento del maiale non rivestì mai, per la verità, nell'economia del Tarantino la significatività che ebbe (ed ha tuttora) invece nella vicina Lucania. In questa regione l'allevamento suino ha infatti sempre rappresentato una delle più diffuse attività silvo-pastorali, condotta anche a regime familiare, come la più genuina espressione dell'economia dell'incolto, motivo per cui nell'antichità rappresentava la principale fonte di approvvigionamento di carne (caro porcina) consumata in Roma.

In mancanza di dati relativi all'Età Antica, l'età d'oro dell'allevamento suino nel Tarantino si è limitato molto probabilmente al Medioevo e non andò oltre il '500 nelle aree al di sotto della Murgia. In questi anni, infatti, la progressiva diffusione delle colture relegava tale attività alle aree più interne (il territorio occidentale, quello pedemurgiano e la Murgia propriamente detta), laddove permanevano aree pascolative relativamente intatte. Non a caso è proprio in queste aree dove si riscontrano il maggior numero di toponimi che ricordano tale attività, primo fra tutti il Porcile di Cigliano (Crispiano). Di particolare rilevanza fu (sino all'inizio del '700) nel territorio di Massafra, ove il bestiame veniva ospitato all'interno delle grotte sparse tutt'intorno al centro abitato.

Essenziale nel completamento del ciclo vitale del bestiame era la presenza delle querce, che fornivano, con le ghiande che cadevano fra settembre e dicembre, l'alimento (l'esca) che consentiva ai maiali il rapido ingrassamento (la grassa), immediatamente prima della macellazione o della commercializzazione. Per il restante periodo l'azienda specializzata nell'allevamento suino, la masseria di maiali, necessitava di pascolo e di integrazione alimentare proveniente dalle attività agricole, in particolare di orzo; in alternativa venivano alimentati con la ristoccia: gli animali venivano, cioè, introdotti a pascolare nei seminativi subito dopo la mietitura. A tale scopo le aziende più grandi effettuavano vere e proprie transumanze per raggiungere i vasti campi del Tavoliere.

Nel corso del Settecento la presenza di maiali nel Tarantino era limitata per lo più alla sola stagione della grassa. Durante questo periodo, che andava in genere dall'8 settembre al 6 dicembre, i proprietari di maiali, il più delle volte martinesi o massafresi, conducevano il bestiame nelle quercete sopravvissute, come la Foresta dell'Arcivescovo di Taranto, situata nel territorio di Grottaglie, ed il feudo di Lizzano. Durante lo stazionamento dei maiali nei querceti veniva sospeso il godimento dei diritti da parte del pubblico: il feudatario esercitava, cioè, il suo diritto di parata. Era questo un distinto corpo feudale, all'origine spesso di frizioni con il pubblico. In Mottola, ad esempio, esso consisteva nel diritto esclusivo del suo barone, nella fattispecie il duca di Martina, di introdurre maiali all'interno delle difese di Poltri o (alternativamente) di Sant'Antuono; la scelta dell'uno o dell'altra faceva seguito ad una accurata ricognizione della quantità di esca presente sulle querce presenti nelle rispettive terre. La formulazione originale di questa prerogativa prevedeva che la parata durasse per il periodo compreso fra la festività di San Luca Evangelista (18 ottobre) e quella di Santa Lucia (13 dicembre), ma, a seguito di successive capitolazioni intercorse fra il duca e le università di Noci e Mottola, nel caso che il 13 di dicembre si fosse trovato ancora frutto sugli alberi, il duca poteva dilatare la parata sin tanto che ve ne fosse stato, senza essere impedito. La pena prevista per chi scommettesse la parata, introducendo proprio bestiame prima del termine previsto, era di 24 ducati in caso di forestieri, oltre al carnaggio, cioè la perdita di capi di bestiame, divisi fra il governatore, l'erario ed i guardiani di campagna; per i cittadini (di Mottola) essa era invece di soli 15 carlini per ciascuna morra di animali, oltre alle spese per gli atti della Corte, ai diritti dei guardiani ed alla rifazione del danno.

L'allevamento suino era condotto anche su scala familiare, ma anche tale attività decrebbe con le progressive limitazioni all'esercizio degli usi civici e la restrizione delle aree demaniali.

Maiali al pascolo nei boschi Porcilaia di San Sabino

A sinistra maiali al pascolo brado nei boschi della Murgia; a destra la monumentale porcilaia di San Sabino (Mottola), interamente scavata nel tufo

All'interno delle masserie si fa talvolta riferimento alla presenza di maiali, ma si tratta per lo più di animali singoli, allevati per finalità legate all'approvvigionamento familiare del proprietario.

Riferimenti bibliografici

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