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PERIEGHESIS. VIAGGIO NELLA STORIA DEL PAESAGGIO AGRARIO DEL TARANTINO

Lo Stato imprenditore: dalla Foresta alla Dogana delle Pecore di Puglia

PAROLE CHIAVE: immagini, rural landscape history, storia paesaggio agrario, transumanza, dogana delle pecore, Medioevo, feudalesimo, demani, paludi, saline, caccia, fiumi, allevamento, grano, Taranto, Puglia, Italia meridionale, Masserie, Civiltà Rupestre, edilizia rurale

Uno Stato onnipresente

Una delle costanti della storia del Tarantino, a partire dal Tardoantico sino alle soglie dell'Età Moderna, è stata la presenza di un esteso patrimonio demaniale, posto sotto le direttive gestionali, amministrative e di controllo dello Stato, surrogato in epoca feudale dal Principe di Taranto.

E' da tener presente, tuttavia, che in mancanza di un efficente sistema fiscale, lo sfruttamento del patrimonio demaniale costituiva il principale cespite di entrate per lo Stato.

Il tessuto economico-sociale del territorio risentì comunque negativamente delle smanie imprenditoriali dell'autorità pubblica, che a lungo privilegiò la promozione delle proprie terre (e delle attività svolte al suo interno) e scoraggiò la nascita di potenziali concorrenti. Federico IIin particolare perfezionò ai massimi livelli tale modello, realizzando un progetto globale di sviluppo centrato proprio sul sistema delle aziende statali.

Le energie locali rimasero invece a lungo irretite dai mille vincoli e monopoli imposti, a tutto favore dell'imprenditoria pubblica; gli esiti di questa politica restarono, tuttavia, molto lontani non solo dalle attese delle popolazioni, ma finanche dalle possibilità concrete di realizzabilità nonché dalla sostenibilità ecologica e sociale del territorio.

E' da annotare infine che proprio a seguito dell'asfissiante presenza dello Stato si approfondì il già crescente divario fra Sud e Centro-Nord d'Italia. Si ponevano così le basi per la Questione Meridionale.

La Foresta

Con i Normanni, e la unificazione del Mezzogiorno, la zootecnia tornò ad essere un' impresa finalizzata alla formazione di ricchezza, grazie soprattutto al riaffermarsi di una autorità centrale che fu in grado di assicurare sicurezza agli spostamenti lungo i percorsi della transumanza.

Per definire forme di controllo sui pascoli giunsero ben presto, tuttavia, a collidere gli interessi del Re, titolare di vaste aree demaniali che attendevano un idoneo sfruttamento, dei feudatari, aspiranti a ritagliarsi analogo ed esclusivo spazio economico all’interno del proprio feudo, e delle comunità, che nel frattempo avevano maturato plurisecolari diritti consuetudinari di uso ed aspiravano a trasformarli in riserva di dominio. Per porre il suggello della autorità regia (o signorile), ma soprattutto per razionalizzare l’utilizzo delle risorse territoriali, i Normanni introdussero la giurisdizione forestale, istituendo le prime foreste.

La Foresta di Grottaglie

La prima attestazione di un territorio soggetto a giurisdizione forestale nel Tarantino risale al 1196, allorquando l'imperatore Enrico VI di Svevia confermava, fra l'altro, un territorio denominato la Foresta in favore dell'arcivescovo di Taranto, Angelo. .

Sino alla eversione della feudalità è sempre rimasta di proprietà dell'Arcivescovo di Taranto, barone in civilibus di Grottaglie, i cui cittadini vi esercitavano alcuni diritti d'uso, in primo luogo la facoltà di raccogliere la legna morta (cioè di legnare a secco), fatta eccezione per un periodo che andava dal 29 di settembre al 6 di dicembre, epoca in cui il querceto (la ghianda) era riservato al pascolo (la grassa) dei maiali. Oltre a questa entrata l'Arcivescovo riscuoteva, al pari del resto del territorio grottagliese, come riconoscimento del suo supremo dominio, una quota (la vigesima) degli agnelli che nascevano nelle masserie

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Fra le entrate minori ricordiamo alcuni diritti sull'utilizzo delle acque sorgive della sorgente del Viaro per la macerazione (curatore) del lino (a sinistra la sorgente a tale scopo utilizzata) e sulla caccia ai tordi. Nel Medioevo vi si praticava, molto pobabilmente anche il trattamento della pece, attività per la quale occorreva molta legna come combustibile.

Al suo interno sorsero, già verso lafine del Medioevo,numerose masserie, alcune gestite direttamente dalla Mensa Arcivescovile (come quelle di Ogliovitolo e di Santa Maria della Mutata, altre in possesso del notabilato di Grottaglie, Martina e Taranto. Nella foto in basso le masserie della Mutata e di Abate Graziano, denominazione mutuata dall'abate Graziano Blasi, esponente di una delle famiglie più di spicco della borghesia agraria di Martina.

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Con l'eversione feudale il comune di Grottaglie riuscì a farsi assegnare dall'arcivescovo parte dei terreni di Masseria ogliovitolo in compenso dei diritti di uso civico nei secoli goduti dai suoi cittadini.

Il ricordo di quel passato resta impresso nelle maaestse roverelle che si incontratto tutt'ora lungo la viabilità all'interno della contrada, nota ancora come Foresta

Con la denominazione di foresta(e la variante germanica di gualdo) si intendeva una entità giuridica più che ecologica, e designava, almeno inizialmente, un territorio di cui il re o il signore si riservava il godimento esclusivo, mediante l'imposizione di un bando, cioè del divieto al altri di accedere allo sfruttamento delle rispettive risorse. Per la sua osservanza era previsto un apposito servizio di vigilanza armata i cui forestarii), al pari di altri ufficiali dell'amministrazione pubblica, si resero protagonisti di una serie infinita di soprusi e di vessazioni.

Sulla base di questo principio l'esercizio delle varie attività che vanno sotto il novero di economia dell'incolto, quali la raccolta della legna, il pascolo e la caccia, divenne possibile solo mediante il pagamento di una tassa (la fida) in favore del titolare della giurisdizione, lo Stato o il feudatario, o di coloro cui questi la cedevano (in dono o in fitto). Il territorio di Taranto fu, nel suo complesso, posto sotto gli stretti vincoli della giurisdizione forestale, onde il divieto assoluto, per i privati possessori di terre al suo interno, di concedere in fitto i propri pascoli o di erigere muri di difesa delle stesse.

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Nonostante i vincoli imposti dallo Stato, nel tardo Medio Evo sorsero all'interno della Foresta tarantina i primi abbozzi delle moderne masserie. Inizialmente si trattava di semplici appoggi di servizio per lo svolgimento dellee attività agricole; a tal fine , per svolgere le quali era consentito, per atavica consuetudine, chiudere a difesa una quantità di terra pari a un tomolo per ciascun bue domito addetto alla coltura. Era pertanto fatto esplicito divieto di vendere l'erba (affottare il pascolo); una volta mietute le messi (sectis segetibus), le terre dovevano tornare nel novero di terre pubbliche. Con il trascorrere del tempo tuttavia gli agrari riuscirono ad imporre il proprio dominio esclusivo sulle terre. In alto una di queste strutture, Masseria San Domenico, subito al di sotto dei Monti di Martina.

Venivano fatti tuttavia, salvi i dirritti d'uso delle popolazioni, con la previsione di ben individuate limitazioni. La foresta di Taranto, denominata Gualda o Gualdella, si trova per la prima volta chiaramente indicata come di pertinenza regia in un elenco delle foreste regie stilato nel 1278

Oltre che un grande affare la Foresta costituiva la sede delle attività venatorie (sollatia) di re, imperatori e baroni, ed offriva inoltre l'erba per il bestiame presente nelle masserie regie.
Foresta, masserie regie e sistema castellare coesistevano, per cui costituivano nel loro complesso un efficace e pervasivo strumento di controllo del territorio.

Le masserie regie

La valorizzazione delle migliori terre del demanio regio ebbe la sua più razionale espressione nella creazione di un articolato sistema di masserie regie, aziende agricole specializzate e a vario indirizzo, finalizzate all'inserimento dello Stato nella rete dei grandi commerci internazionali.

Il settore di gran lunga più attivo fu naturalmente quello, strategico per l'epoca, della produzione cerealicola. Fu, ancora una volta Federico II a dedicarvi la massima cura. Queste strutture furono sottoposte ad un complesso e spesso pletorico apparato amministrativo di controllo, che assegnava a ciascuna di esse standard produttivi, basati per lo più su calcoli teorici, irrealizzabili con le conoscenze ed i mezzi dell’epoca. La presenza, in età angioina, di almeno una di queste strutture nel Tarantino dimostra come già da allora la città jonica fosse ben inserita in linee commerciali che superavano l'ambito strettamente locale.

Oltre alla masseria cerealicola esistevano altre aziende inserite all'interno del demanio regio, fra cui quelle specializzate nella zootecnia, ove si allevavano maiali, pecore e buoi; un ruolo strategico di particolare rilievo occupavano le aratie,o marescallie, specializzate nell' allevamento dei cavalli. In età aragonese ne esistevano presso Laterza e Massafra. Frequente la presenza all'interno delle masserie regie anche dell'allevamento delle api.

La Dogana della Mena delle Pecore di Puglia

Lo sfruttamento dei pascoli rientrò sempre nelle linee di politica economica dello Stato, sia normanno che svevo che angioino. Il peso economico di tale attività era tuttavia destinato a crescere ulteriormente nel corso del Medioevo, grazie alla crescita della domanda da parte delle industrie tessili del Centro e Nord Italia ed agli esiti della grave crisi agricola e demografica che non rispiarmò neanche le campagne meridionali ad iniziare dalla fine del XIII secolo.

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Le ingerenze della Dogana delle pecore nella gestione dei pascoli si fecero particolarmente sentiore nel Tarantino occidentale, ove tale attività era particolarmente sviluppata. Vi si opposero in particolare i feudatari locali, in particolare quelli di Palagiano (in alto Masseria Lama d'Erchia, sorta in una delle sue difese feudali) e di Palagianello (in basso il castello Stella-Caracciolo).

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Gli ultimi re angioini ed i principi di Taranto cercarono di imporre il proprio monopolio nel mercato della locazione dei pascoli, ma incontrarono la crescente opposizione dei feudatari e dei notabili, interessati a definire forme di possesso individuale sulle terre pubbliche, nonchè delle popolazioni locali.

Nel 1447 il re l'aragonese Alfonso il Magnanimo impresse una svolta epocale, istituendo una complessa macchina burocratico-amministrativo-economico-giurisdizionale, nota come Dogana della Mena delle Pecore di Puglia, con sede prima a Lucera, quindi a Foggia.

La prammatica che la istituiva vincolava di fatto gli spostamenti delle greggi transumanti, obbligandoli a seguire determinati percorsi, i tratturi, ed a servirsi esclusivamente dei pascoli della Corona. A questo sistema vincolistico vennero sottoposti anche i privati, costretti ad affittare i propri pascoli, a prezzo calmierato, esclusivamente per il tramite dell'amministrazione della Dogana, che poi provvedeva ad assegnarli ai possessori di greggi (i locati).

I pascoli erano organizzati in locazioni. Il cuore della Dogana era nel Tavoliere foggiano, ma anche il Tarantino fu inserito all'interno del sistema, in qualità di pascoli straordinari insoliti. Erano così ricompresi queli territori che, a seconda delle necessità, venivano annualmente individuati tramite bandi pubblci e asserviti alle esigenze della Dogana. Solo in un secondo tempo (all'inizio del '600) fu istituita una Locazione di Terra d'Otranto, con sede a Castellaneta ed epicentro nella parte occidentale della attuale provincia jonica. Da quel momento cessarono le ingerenze nel resto del tarritorio jonico. Sino ad allora, tuttavia, per tutto il '500 ebbe luogo una serie infinita di questioni fra i suoi amministratori ed i feudatari e gli altri signori della terra tarantini, che celarono i loro interessi particolaristici dietro supposti violati diritti dei cittadini, limitati nell'esercizio dei propri diritti, se non impediti, dal grande flusso di bestiame della montagna.

Alla lunga la lotta fu vinta dagli agrari, che finirono con l'imporre la propria egemonia territoriale sul Tarantino centro-orientale.

Riferimenti bibliografici

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