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PERIEGHESIS. VIAGGIO NELLA STORIA DEL PAESAGGIO AGRARIO DEL TARANTINO

IL PAESAGGIO AGRARIO DI ETA' MODERNA

PAROLE CHIAVE: immagini, rural landscape history, storia paesaggio agrario, feudalesimo, demani, Taranto, Puglia, Italia meridionale, gravine, masserie, edilizia rurale

La tumultuosa crescita cinquecentesca

L'Età Moderna (secc. XVI-XVIII) è caratterizzata da una vertiginosa crescita del volume dei traffici commerciali su scala ormai planetaria, sulla scia di una autentica rivoluzione culturale e di visione del mondo, mutuate dall'inedito sviluppo delle scienze.

Il porto di Taranto si inserì a pieno titolo nel contesto dei rinnovati flussi mercantili che investirono il Mediterraneo, che vedevano sensibilmente ridimensionato il ruolo delle potenze medievali (Genova e Venezia in primo luogo) a favore delle flotte inglesi, francesi, olandesi. Esso rafforzò ulteriormente il suo tradizionale ruolo storico di terminale commerciale di un vasto hinterland che comprendeva l'Alta Murgia, la Lucania orientale, l'alto Cosentino jonico ed il Salento settentrionale.

Questa attiva partecipazione si svolse, tuttavia, in una prospettiva di sudditanza, che accresceva il divario già da tempo esistente rispetto alle aree più sviluppate dellItalia e del resto del continente. Nel contesto della generale mercantilizzazione dell'agricoltura mediterranea, l'intero Mezzogiorno era relegato al ruolo subalterno di colonia produttrice di materie prime ed importatrice di prodotti finiti a molto maggior valore aggiunto.

Ciò contribuiva a cristallizzare un paradigma socio-economico-culturale (nobiltà = signoria terriera) la cui facies territoriale aveva la fisionomia del latifondo dominato dall'associazione grano-pascolo. La possibilità di fare molti affari investendo nell'agricoltura medieterranea risvegliò così le attenzioni della finanza del Nord d'Italia, richiamando un gran numero di speculatori genovesi, veneziani, fiorentini, lucches ed anche napoletani ad acquistare terre e feudi interi, con la prospettiva, peraltro, di una facile nobilitazione.

In tal maniera il potere finanziario (cioè la capacità di investire e di introdurre innovazione) assunse direttrici eterodirette, estranee agli interessi locali.

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L'Età moderna è contrassegnata dall'affermazione del particolarismo agrario, cioè dal passaggio dalla gestione pubblica alla privatizzazione della terra, o almeno delle parti incolte di essa; il sembolo di questa transizione, drammatica nei suoi esiti per gli strati più deboli della società, fu rappresentato dalla 'erezione di recinzioni (parieti) abusive. A quest'epoca risale anche il definitivo affermrsi del sistema delle masserie all'interno della Foresta di Taranto. In alto a sinistra un lungo pariete sul Monte Sant'Elia (Massafra), territorio a lungo contestato fra l'Università di Massafra e la Mensa Vescovile di Mottola; a destra Masseria Scorcola (Crispiano), eretta a difesa alla fine del Cinquecento dalla potente famiglia degli Atenisio, tarantini. .

L'altro elemento importante fu la ristrutturazione della rete stradale, ormai polarizzata intorno ai due centri egemoni, Taranto e Martina Franca. Qui in basso il bel lastricato (l'ultimo residuo, presso Masseria Fiascone-Martina Franca) di una delle molte strade che una volta collegavano le due città.

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Nonostante le guerre franco-spagnole che coinvolsero drammaticamente la Puglia per l'intera prima metà e le ricorrenti pestilenze, il Cinquecento fu comunque caratterizzato da una forte spinta alla crescita; a sostenerla fu soprattutto la forte domanda (con la parallela lievitazione dei prezzi) dei prodotti agricoli (grano, olio e lana), perdurata sino ai primi decenni del Seicento ed alimentata a sua volta da un trend demografico costantemente positivo.

Il paesaggio del latifondo

L'espressione paesaggistica dello scenario su delineato fu lo sviluppo ed il razionale (per gli strumenti dell'epoca) sfruttamento del latifondo, agronomicamente centrato sul binomio grano-pecore. Esso costituì, almeno in parte, il naturale esito della crisi demografica ed economica tardomedievale, che condusse allo spopolamento di vaste plaghe interne e litorali, e della stagnazione quattrocentesca; un grosso contributo fu dato, però, anche dal via libera dato dalle autorità pontificie alle concessioni a lungo termine (di tipo enfiteutico) della gran parte dei vastissimi patrimoni fondiari accumulati nei secoli precedenti dalle abbazie tarantine, ormai condotte con il regime di commende cardinalizie. Naturalmente i beneficiari di queste operazioni furono soprattutto i nuovi signori della terra (nobili, baroni, notabili, militari).

Da segnalare l'affermazione, nello smembramento dei feudi delle abbazie di Santa Maria del Galeso e di Crispiano, degli esponenti più di spicco della galantomia martinese.

Molti latifondi nacquero (o si incrementarono) anche grazie a progressivi appadronamenti di terre pubbliche, in ciò aiutati dalla latitanza delle autorità pubbliche. Per converso crebbero le difficoltà dei piccoli e medi proprietari: incapaci di resistere sul mercato, in molti furono costretti dalla spirale debitoria a cedere le rispettive terre, destinate a confluire all'interno dei grandi patrimoni in costruzione.

L'Età Moderna contrappose la nuova ideologia del mercato all'ideale dell'autosufficienza, delineato nell'arco del lungo Medioevo. Per conseguenza, con l'abbandono del modello policolturale che aveva informato l'eredità medievale a qualsiasi livello di struttura produttiva e proprietaria, dalla piccola alla grande, il paesaggio agrario moderno si avviava verso una fisionomia organizzativa molto più semplificata rispetto all'apparente caos geometrico medievale, individuando, cioè, settori territoriali specializzati nelle colture orgicole, viticole, cerealicole e zootecniche.

Il prototipo aziendale, funzionale al nuovo paradigma economico, fu la masseria.

La crisi seicentesca

Dopo i primissimi decenni del ‘600, che si giovarono ancora del positivo andamento cinquecentesco, sopravvenne una nuovo passaggio congiunturale negativo, causato dalla esosotà del fisco spagnolo, da una crisi finanziaria generalizzata, dal crollo dei prezzi delle merci (comprese le produzioni tipicamente mediterranee), dalla contrazione demografica e da una incredibile serie di calamità naturali.

Le vicende relative a Masseria Capocanale (Statte) sono per molti versi paradigmatiche della storia del latifondo. Sorta una prima volta, nel passaggio fra Medioevo ed Età Moderna, come masseria della Noce, su un preesistente insediamento rupestre, fu dismessa nel corso della crisi seicentesca, unita alla contigua Masseria Caprarica a costituire la più grande azienda (Masseria la Felice) dei Galeota, nobile famiglia di origini napoletane approdata in Taranto nel corso del '500. Verso la metà del Settecento i Galeota intrapresero una grande politica di miglioramento fondiario e razionalizzazione gestionale, che previde anche la creazione di unità aziendali minori, con la ricostituzione della masseria e l'attuale denominazione. Passata negli anni '60 del 700, a seguito di gravi problemi finanziari dei Galeota, in possesso delle monache benedettine di San Michele di Taranto, con gli espropri postunitari pervenne nelle mani della borghesia agraria cittadina

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Sullo sfondo di questo fosco scenario l'imperversare ricorrente della peste, che, pur non investendo direttamente il Tarantino, contribuì tuttavia ad alimentare un endemico clima di insicurezza.

La crisi raggiunse il suo acme intorno alla metà del secolo, ma fece sentire i propri effetti destrutturanti sino ai primi decenni del ‘700. Ne furono conseguenze l' involuzione dei sistemi gestionali e di conduzione delle terre, con una paurosa discesa del prezzo dei fitti e del valore fondiario. L'esito fu ancora una volta verso la creazione di unità fondiarie sempre più grandi.

La crisi non interessò invece gli enti ecclesiastici: il generale clima di incertezza: alimentò anzi la generosità dei fedeli (terre in cambio di messe) che si tradusse nell'incremento smisurato della dotazione patrimoniale di capitoli e conventi. A queste istituzioni tradizionali si affiancò anche l'associazionismo laico, con le confraternite, anch'esse terminale di amplissime donazioni, in denaro ed in beni fondiari. Sia i conventi che le confraternite divennero i maggiori prestatori di denaro

La risposta della proprietà di fronte alla crisi fu per lo più scomposta: alcuni scaricarono il rischio d’impresa sui contadini cui concessero in enfiteusi parte delle proprie terre, con l'impegno a impiantarvi colture di sicura rendita, come la vite; altri puntarono sull’allevamento, anche a costo di mandare in rovina aziende che avevano raggiunto una complessa struttura organizzativa e gestionale. La tendenza prevalente fu verso la semplificazione del paesaggio con la crescita dimensionale delle unità aziendali.

L'olio, l'oro di Puglia

Il contributo più significativo alla generalizzata crescita settecentesca fu apportato certamente dalla progressivo ampliamento dell'olivicoltura specializzata nelle campagne pugliesi, e del Tarantino in particolare, ove si diffuse anche nei tratti più impervi della parte bassa della Murgia. Qui alcuni esemplari di un antico oliveto nella Lama di Riggio (Grottaglie)

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La ripresa settecentesca

Già negli ultimi decenni del '600 l’olivicoltura svolse il compito di trainare al rialzo le sorti economiche del Tarantino, contribuendo sostanzialmente alla crescita economica che caratterizza larga parte del successivo '700.

Anche il mercato cerealicolo concorse a stimolare la ripresa, sostenuto dalla lenta, ma costante, crescita demografica che interessò, per tutto il ‘700, il Regno e Napoli in particolare, alla cui Annona era destinato parte consistente della produzione ionica.

Il trend subì anche una ulteriore accelerazione dopo la grande paura seguita alla carestia degli anni ‘60, ma la messa in coltura di vaste aree ai danni della macchia mediterranea ebbe notevoli ripercussioni sull’assetto geoidrologico di tutta la regione. Alla stessa logica mercantile si collega anche l'espansione della cotonicoltura, che sostituì man mano la linicoltura.

L'attività di bonifica di aree già paludose che l'accompagnò si associava spesso anche all' ulteriore ampliamento delle colture ortofrutticole.

Il notevole impulso dato anche alla viticoltura segnò, da una parte, l'inizio del ridimensionamento di molte masserie dell'immediato hinterland tarantino, dall'altra la ripresa di moti di ripopolamento delle campagne, con la nascita di una nuova tipologia residenziale, sino a dar vita (verso la fine del secolo) a nuovi villaggi rurali, come Talsano e San Donato.

Le tendenze contemporanee

La rivoluzione istituzionale, sociale, politica ed amministrativa introdotta dal decennio napoleonico (1806-1815) non ebbe sensibili e pratiche ricadute nell'economia agricola e quindi nelle condizioni generali della popolazione.

Mutarono però i protagonisti del paesaggio sociale, con la progressiva esautorazione degli ormai ex-baroni e della decadente compagine nobiliare di stampo antico, via via sostituiti da una nuova copngerie sociale, quella dei galantuomini, in tutto e per tutto simili ai precedenti quanto ad avarizia nei confronti dei cafoni, ma più accorti nella gestione economica e, soprattutto, determinata a giocare un ruolo di primo piano nella vita politica.

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I protagonisti della prima rivoluzione tecnologica nell'agricoltura mediterranea: mietitrici, trebbiatrici, mieti-trebbiatrici di inizio '900

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Le loro fortune furono amplificate dalla liquidazione delle residue servitù gravanti sulle terre pubbliche, attuata per lo più mediante la brutale imposizione del loro pre-potere e dalla messa in liquidazione del patrimonio ecclesistico. Solo modesto e transitorio sollievo apportò invece la quotizzazione dei demani ex-feudali sulle sorti delle classi bracciantili.

La rivolzione biologica ottocentesca determinò la rivoluzione urbanistica dei centri rurali, con la nascita di nuovi borghi fuori le cerchia delle vecchie mura (laddove erano sopravvissute). Iniziava l'età d'oro delle agro-town pugliesi, i cui effetti negativi furono in parte alleviati dall'emigrazione di fine Ottocento-inizi Novecento.

Dal punto di vista del paesaggio agrario la decadenza della cotonicoltura, dopo il grande sviluppo del Decennio, costituì un importante elemento critico, cui ben presto si aggiunse la progressiva involuzione della cerealicoltura (ulteriormente accelerata, venuto meno ilprotezionismo borbonico, negli anni postunitari) come conseguenza del precipitare dei prezzi, di fronte alla concorrenza dei grani americani e russi.

Le bonifiche, l'espansione dell'oliveto, la prima meccanizzazione e l'avvio di vastissimi diboscamenti furono alla base del progressivo ridimensionamento della zootecnia, in particolare dell' economia pastorale, altro caposaldo del sistema economico mediterraneo di Età Moderna. Il modello produttivo rappresenattao dalla masseria entrava in crisi irreversibile. Molte, in particolare quelle disposte lungo il litorale sudorientale, furono dismesse, le terre concesse ai contadini.

La distruzione dei vigneti francesi a fine '800, causata dalla filossera, fornì un temporaneo sollievo agli affanni postunitari. Tale evento drammatico animò una vera corsa alla vigna, che occupò, all'inizio del '900, un areale che non sarebbe mai più raggiunto.

La contemporanea nascita dell'industria militare in Taranto e lo sviluppo urbanistico oltre la Porta di Lecce (il moderno Borgo) svincolarono, per la prima volta, il sistema socio-economico urbano dal mondo rurale, svegliando nuove opportunità speculative, in chi ne aveva la possibilità, e fornendo una importante risposta alle ansie di un ambiente in cerca di nuovi stimoli.

Il Novecento è segnato, dopo il fallito tentativo, costituito dalla Riforma Fondiaria degli anni '50, di confermare l'agricoltura tradizionale (centrata sul podere contadino) come elemento trainante dello sviluppo territoriale, dalla crescente dipendenza dell'agricoltura dai destini dell'industria, e dal massiccio impiego di capitali e di tecnologia, che nel giro di pochi decenni hanno condotto a mutamenti senza precedenti, soprattutto grazie alla diffusione dell'irrigazione.

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La tecnologia protagonista della moderna agricoltura mediterranea, con i sempre più precari equilibri ecologici e paesaggistici: miniserre, macchine spietratrici, grandi impianti in serra (Masseria Ruggeruddo), oggi in stato di abbandono

Tutto ciò ha comunque imposto una grossa ipoteca sui destini dell'agricoltura mediterranea, alle prese con i grossi problemi di reperimento dei capitali necessari per intraprendere e mantenere il necessario aggiornamento delle tecnologie, dei crescenti costi di produzione e di un mercato ormai diffusamente mondializzato e globalizzato.

L'industrializzazione dell'area jonica (a partire dagli anni '50) ha inferto il colpo mortale al sistema delle masserie, laddove era sopravvissuto alla crisi ottocentesca.

Lo scenario più preoccupante offerto dalla moderna agricolatura è costituita dai timori per la sostenibilità del sistema, intesa sia in senso ecologico (inquinamento ambientale, spreco di risorse non rinnovabili, deterioramento dell'assetto idrogeologico del territorio) sia paesaggistico, che inserisce nel dibattito politico amministrativo un elemento potenzialmente conflittuale fra operatori econoici e società .

Fortunatamente esiste anche un'altra forma di modernità, che vede al contrario nella conferma del valore culturale delle produzioni agro-zootecniche e nella riscoperta delle tipicità come gli strumenti strategici più ideonei per superare la presente crisi. Uno dei segnali più indicativi di tale linea di tendenza è certamente la reintroduzione delle mucche podoliche nel territorio della Murgia.

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Bovini podolici al pascolo nella Murgia (Masseria Piccoli-Massafra)

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