LogoGrandTour (5K)
IL GRAND TOUR DELLA TERRA DELLE GRAVINE

PAROLE CHIAVE: immagini, rural landscape history, storia del paesaggio agrario, Taranto, Puglia, Italia meridionale, associazione culturale, gravine

LE TORTUOSE STRADE DELLA RABBIA

V GRAND TOUR DELLA TERRA DELLE GRAVINE (7-10 maggio 2011)

Da Grottaglie a Castellaneta

Grandtour2011-v (18K)

La V edizione del Grand Tour della Terra delle Gravine è stato ispirato dalla ricorrenza del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, a ciò sollecitati anche dalle tante polemiche sollevate sui media per l'occasione.

La circostanza avrebbe dovuto sortire una più pacata, ancorché ineludibile, riflessione sull'indubbia fascinazione esercitata dall'epopea del Brigantaggio post-unitario, personificata in personaggi che, mossi dal grave disagio socio-economico indotto da quel così repentino mutamento, attraversarono il corso della storia italiana come una breve meteora segnandola con comportamenti spesso rivoltanti. Ed invece abbiamo assistito alla acritica, e spesso livorosa, riproposizione di una vulgata romantica priva di qualsivoglia fondamento storico che non fa proprio onore alla tradizione del Meridionalismo.

Sarà la potenza della rabbia disperata che trasuda dai racconti di quei vissuti, ma nell'evocarli si avverte pur sempre in quella ribellione, almeno nelle motivazioni iniziali, come un corale grido di giustizia negata, in quelle imprese nefande piuttosto azioni compiute da compagni che, pur mossi da ideali giusti, sbagliarono nella loro risposta. E' come se queste storie pizzicassero, nel profondo della nostra anima, ancorché dissonanti, le corde più cupe di una comune anima di sapore primordiale, che avvertiamo, talvolta, come retaggio scomodo sì, ma ineludibilmente nostro. E' l'anima che tanto seduceva i viaggiatori del Grand Tour storico, il lato ombroso e violento del volto della nostra eredità culturale mediterranea, la cui voce appare sempre rotta dal dolore, quella di una Grecia dionisiaca che vive nascosta dentro antri e parla attraverso i miti foschi di Urano e di Polifemo, di Medea e del Minotauro, che ragiona con la filosofia di Eraclito e di Pitagora, che parla a Dio sgozzando i capri e versando sangue innocente, quella che danza, sempre ebbra in preda di possessioni e di incantesimi, sino allo sfinimento, in una festa di popolo che sfocia in orgia di sensi e di passioni, sotto un sole sempre tragico che brucia anche le passioni d'amore, e ne fa ossessioni fatali.

Forse trattasi di quella deriva sociale che tipicamente colpisce chi si sente escluso dal flusso primario di un cambiamento importante e ripiega su se stessa, maturando quella tentazione antimoderna che è un tratto connotativo dell'antropologia dell'uomo mediterraneo. Ciò non rende, tuttavia, meno triste la constatazione che il Brigantaggio ha costituito l'unica, forse, opposizione che la società meridionale sia stata in grado di porre in atto allorquando si ritrovò all'improvviso a fronteggiare un passaggio epocale in gran parte subito, rivelatosi traumatico e che la pose ai margini della vita politica ed economica nazionale Come fosse stata capace, nel corso della sua storia, di porre in atto solo rivolte, giammai d'ideare una vera e propria rivoluzione.

Di fatti di sangue si parlerà, per lo più, nel corso del nostro cammino attraverso i luoghi che di quella triste stagione furono sfondo e teatro. Di morti atroci, di decapitazioni, di amputazioni di genitali e di arti, del prelievo di scalpi oltre che di meschini tradimenti e delazioni, di volgari grassazioni, ricatti ed estorsioni, perché è del profumo della vendetta e dell'odore della rabbia che fu, nella realtà, quella vicenda colorata.

Sullo sfondo, le solo apparenti oasi di serenità rappresentate dalle storie d'amore consumate fra briganti e drude all'ombra dei boschi, in anfratti nascosti e negli angoli più reconditi delle masserie: non scamparono, nella realtà, neppur esse a quella tempesta di passioni torbide.

Sarà quindi un cammino attraverso storie di uomini ed un incontro con i luoghi che ne sono stati simbolo.

Simbolico è il luogo ove, sabato 7 maggio, il cammino prende le mosse: la lapide presso l'arco della Madonna del Lume in Grottaglie, ove il 16 luglio 1803 iniziò l'avventura di papa Ciro; simbolico è pure il Calvario di Castellaneta, ove il 17 gennaio del 1863 fu fucilato il temuto Antonio Locaso (il Capraro di Giacoia), ponendo così termine all'annus horribilis di quella tragica stagione, il 1862.

Le storie. Non sono solo i ricordi legati alle vite maledette dei briganti, ma anche quelle degli umili, in primis i pastori ed i contadini, costretti dalla tristezza dei tempi ad una vita vissuta perennemente ai margini di una società civile che ad essi ha sempre volto uno sguardo segnato da diffidenza, essendo ricambiato da un'analoga considerazione di estraneità, quando non di invidia. Ingiustizie sociali che erano particolarmente acuite nelle campagne, rimordendo le coscienze dei più sensibili e fermentando spesso in ribollente rancore sempre pronto a esondare, come fosse una ricorrente alluvione stagionale, ad ogni traumatico passaggio di epoca.

Storie spremute, insieme con le essenze già mature delle piante, dai nostri passi sull'erba di tratturi e di sentieri, storie di pastori e di contadini che intravidero nella ribellione all'ordine stabilito la possibilità di dare una svolta alla propria esistenza da individualità invisibile, se non negata affatto. Darsi alla vita da brigante come una quasi necessaria svolta esistenziale, a fronte di soccombere ad un altrimenti inguaribile malessere, individuale o collettivamente vissuto che fosse, ovvero per nascondersi alla mano di una Giustizia vestita del guanto ferreo della vessazione, elevando in ogni caso a dimora angusti anfratti di roccia o l'ombra di sempre più sparute enormissime querce. Storie di glorie sempre effimere, quelle impersonate dai briganti, illuminate dagli alternanti chiaroscuri che le cangianti fortune umane proiettano sugli eventi, dominate da tutte le varie declinazioni del lato oscuro della mente umana, da una passione sempre eccessiva, in ogni sua vocazione o espressione, positive o negative qual siano state. Glorie e passioni soffocate per lo più da un fiotto di rutilante sangue che inzuppa la terra, lasciando a nostra memoria la sola smorfia della morte, immortalata dai fotoreporter al seguito dell'esercito, ovvero la materia prima per le elucubrazioni pseudoscientifiche del dottor Lombroso.

Mai come in questa edizione il vero ed indiscusso protagonista del cammino è il paesaggio nella sua interezza, lo scenario del dramma rievocato. Innocente talvolta, talaltra invece complice per la natura aspra ed impenetrabile di quella che appariva ai nuovi giunti (i Piemontesi) come una indistinta Terra Incognita. In primo luogo il suo lato selvaggio, ampiamente utilizzato come rifugio: i boschi, le grotte, le gravine, le macchie e le paludi, ma anche quello umanizzato, le masserie che in quel romanzo vivente furono bersaglio privilegiato delle imprese brigantesche. Rappresentando, infatti, l'emblema del potere e della ricchezza degli odiati galantuomini (i liberali), verso di loro si riversava preferenzialmente la rabbia dei briganti. Fu così che, fra protagonismi contrapposti, fra ambiguità, complicità e drammi, si giocarono i destini dei massari, obbligati ora a subire, ora a giocare ruoli di manutengoli, per vocazione o per forza.

Certo, non è stato possibile coprire tutta intera la geografia disegnata dalle memorie del brigantaggio nelle nostre campagne: la disanima documentaria che ha preceduto la definizione del percorso l'ha ritrovata tanto capillarmente diffusa che per esaudirla compiutamente sarebbero stati necessari almeno il doppio dei giorni tradizionalmente destinati al nostro viaggio.

Prima giornata: Papa Ciro e Francesco Monaco:
da Grottaglie a San Paolo (Martina Franca)

Non per caso, quindi, questa edizione del Grand Tour ha preso le mosse da un luogo che segnò l'inizio di un'altra stagione del brigantaggio, quella che accompagnò un'altra fase di transizione, quella coincidente con il decennio napoleonico: la lapide di recente affissa presso l'arco della Madonna del Lume in Grottaglie. Fu qui che prese le mosse, infatti, la tragica epopea di Papa Ciro, il prete brigante che tenne in scacco per oltre un decennio, agli inizi dell'Ottocento, le forze dell'ordine di Terra d'Otranto. Da qui siamo sfilati sotto i sontuosi balconi dei palazzi del centro storico, scenario di una delle più clamorose imprese compiute dalla banda di Cosimo Mazzeo, alias Pizzichicchio: l'invasione del 17 novembre 1862. Abbiamo quindi proseguito per le contrade di Spartivento, di Fantiano, di Riggio; non appena emersi dalla lama di Buccito ci siamo ritrovati sotto il bieco sguardo dell'aspro profilo del Monte di Papa Ciro, con la masseria Monti del Duca che pure assistette alle gesta del Prete Brigante. Risaliti sulla Murgia abbiamo visitato i luoghi che furono scenario delle gesta del brigante cegliese Francesco Monaco, il signore incontrastato di questo selvoso angolo di Terra d'Otranto, famoso soprattutto per la sua ferocia. Proseguendo per le terre del Parparo, antico feudo dell'abbazia di Santa Maria del Galeso di Taranto, abbiamo concluso il nostro primo giorno di viaggio a San Paolo.

Seconda giornata: Il sergente Romano
da San Paolo (Martina Franca a Lama di Rose (Mottola)

Il giorno successivo abbiamo fatto conoscenza dell'unico tratto sopravvissuto del tratturo Gorgo-Parco con il quale ci siamo inoltrati nel cuore della Murgia dei boschi, rifugio sicuro per qualsivoglia stagione brigantesca, ma in particolare quella che vide il suo eroe nel sergente Romano. Le sue gesta echeggiano tuttora nei ricordi di chi vide in questo angolo di terra: gli amori consumati nelle masserie Colombo e Mandra, l'illusione di una normale quotidianità vissuta a Masseria Monaci di San Domenico, la paura provata nel corso della fuga verso Pandaro e Piccoli, la truce vendetta consumata a Masseria Chiancarello, la giustizia sommaria inflitta agli indisciplinati fratelli Montanaro a San Basilio. Era quasi notte quando abbiamo, a Lame di Rose (Mottola), posto termine ad una delle più lunghe e faticose giornate di cammino.

Terza giornata: Antonio Locaso (il capraro di Giacoia)
da Lama di Rose alla gravina grande di Castellaneta

Il terzo giorno di marcia è corsa lungo le strade fra San Basilio e la gravina grande di Castellaneta, scenario delle gesta di Antonio Locaso, il capraro di Giacoia, e del "clan dei Palagianellesi", una carriera costellata da una lunga sequela di estorsioni, rapimenti, grassazioni, incendi ed assassini a sangue freddo.

Quarta ed ultima giornata: la disfatta di Montecamplo
dalla gravina grande di Castellaneta al Calvario di Castellaneta

Il quarto giorno di viaggio ha preso le mosse da Masseria La Gravina, elegante struttura di recente ristrutturata sul ciglio della gravina grande di Castellaneta, lungo il versante palagianellese. Quest'ultima frazione di viaggio è dedicato alla pietà per i tanti morti occorsi in quella che per molti versi fu una guerra civile. Siamo saliti sulla vetta del Monte Santa Trinità ricordando quello che fu l'ultimo, ma, con molta probabilità, il più cruento scontro avvenuto fra militari dell'esercito regio e bande di briganti. Di questa vera e propria battaglia, avvenuta alle pendici di Montecamplo, in contrada Conca del Carlone, il 29 gennaio 1864, si sa per la verità molto poco in quanto le stesse fonti ufficiali ne tacciono, forse per mascherare l'indubbia onta subita. Proseguendo ci siamo fermati sulla scalinata antistante la chiesa rurale di Mater Christi, nei pressi della quale, in una fossa comune, fu sepolta parte dei soldati periti a Montecamplo (il resto fu calcinata in una vecchia calcara). Entrati in Castellaneta siamo entrati nella chiesa di San Michele ove fu sepolto, una lapide muraria lo ricorda, il sergente Oreste Gorra di Parma, comandante il battaglione trucidato. Le Strade della Rabbia sono terminate dinanzi alle tre croci del Calvario di Castellaneta dove, il 17 gennaio 1863, fu posto termine, mediante fucilazione, alla drammatica vita del temuto Crapariedd, nomignolo con il quale era noto Antonio Locaso.

Il Grand Tour della Terra delle Gravine è un progetto di Antonio Vincenzo Greco e Franco Zerruso per l'associazione culturale TERRA DELLE GRAVINE.